Secondo seminario in preparazione del Convegno 2026 a Ferrara

venerdì 17/11/2025 ore 16-18 (via Zoom) 

Moderatore:

Salvatore Abbruzzese

Relatori:

Enrico Tapella, Responsabile Direzione Didattica e Formazione (UNIMI)

Giovanni Naldi, docente (Dipartimento di Matematica, UNIMI)

Stefano Perlini, docente (Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, UNIPV) 

Marta Ghidoli, dottoranda (POLIMI)

Costanza Martin, dottoranda (UNICATT)

Link per collegarsi:

Entra nella riunione in Zoom
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ID riunione: 845 9910 2332
Codice d’accesso: 313878

Il dottorato di ricerca, integrato funzionalmente nel sistema universitario italiano a partire dal 1980, ha progressivamente sedimentato delle criticità che appaiono evidenti. Gli oltre 21.000 studenti attualmente iscritti ai corsi dottorato costituiscono una fascia sociale estremamente rilevante sul piano culturale (di fatto costituiranno la futura intellighenzia del paese) rispetto alla quale occorre porsi almeno cinque interrogativi.

Il primo concerne la struttura stessa dei dottorati.

Spesso organizzati su base interdisciplinare, i seminari obbligatori per i dottorandi finiscono per risultare marginali rispetto alle tematiche che ciascuno di essi intende sviluppare nel proprio percorso di ricerca. Inoltre, nella misura in cui i dottorandi sono invitati a partecipare, o talvolta persino a coordinare, équipes di ricerca i cui obiettivi non coincidono con quelli del loro progetto di studio, essi rischiano di subire ritardi talvolta difficilmente recuperabili, con inevitabili ricadute in termini di frustrazione e demotivazione.

Il secondo concerne il sistema universitario nel quale sono situati.

Interni alla struttura universitaria, i dottorandi di ricerca finiscono per costituire i terminali delle emergenze che scuotono attualmente l’area dei docenti e quella dei ricercatori: dalla crescente impreparazione delle matricole, al monitoraggio dell’attività didattica delle singole cattedre, agli standard performativi che ogni laboratorio è tenuto a realizzare. Quanto il circuito dei dottorandi è difeso da un tale sovraccarico che riguarda solo docenti e ricercatori e quanto, invece, è chiamato a fronteggiare tali emergenze?

Il terzo concerne la vita quotidiana.

Spesso privi della possibilità di garantire una presenza costante all’interno dell’ateneo, i dottorandi finiscono per essere marginali nelle relazioni scientifiche interne a quest’ultimo. Quanto l’esperienza culturale che dovrebbe essere al centro della loro attività, si sviluppa invece in un percorso solitario, nel quale l’interazione con il contesto dei colleghi si rivela scarsamente significativa? E quanto una simile esperienza di relazione negata e di incontri significativi mai realizzati spinge i dottorandi all’esterno dell’università, indirizzandoli in ambienti culturali collaterali, dove sembra loro di poter cogliere quella stessa esigenza di relazione significativa di fatto mancata?

Il quarto concerne l’attuale mutamento d’epoca.

L’Università italiana, al pari delle altre, coesiste da anni con una serie di emergenze che le sono esterne, ma che di fatto la travolgono. Dal processo di globalizzazione al riscaldamento globale, dalla pandemia del Covid19 al conflitto russo-ucraino ed a quello israelo-palestinese, fino ad arrivare allo tsunami dell’Intelligenza Artificiale che rischia di minare l’intero processo formativo, l’università è costantemente tormentata da un contesto che la condiziona. Quanto l’universo dei dottori di ricerca finisce con l’esserne colpito e stravolto nella propria attività?

Il quinto concerne il futuro.

In un contesto così precario, solcato e ferito dalle emergenze continue, quanto la normale e fisiologica incertezza che ha sempre attraversato i livelli di studio più elevati, non finisce per provocare degli stati di ansia inaggirabili che compromettono in modo considerevole ogni sereno percorso di ricerca? In particolar modo in quei percorsi di studio che, staccati dall’universo produttivo e dalla ricerca tecnico-scientifica, possono contare solamente sulle carriere universitarie come futuro approdo?
Se ciascuno di questi aspetti indica una vistosa criticità, è doveroso recuperare le strade che riportino al dottorato ad essere un percorso di ricerca scientifica all’interno di un’istituzione che lo legittimi e di una comunità che lo riconosca come il proprio futuro, cioè come la parte migliore di sé stessa.