La guerra in Palestina, il nostro contributo alla pace

Lo schieramento unilaterale di una parte del mondo accademico italiano riguardo al conflitto in corso e la presa di posizione contro Israele, con la richiesta, come forma di protesta, di sospendere tutte le relazioni col mondo accademico israeliano, hanno destato sconcerto e preoccupazione. Non è alimentando la tensione, addirittura a livello delle relazioni accademiche, che si può arrivare a una soluzione giusta dell’attuale situazione. Né si possono attribuire collettivamente al mondo dell'università e della ricerca responsabilità politiche prese dai governi. Mantenere e rinsaldare i rapporti tra chi lavora e studia in Università, anche a livello internazionale, può aiutare a capire meglio la complessa vicenda che sta sconvolgendo il mondo, insieme alla guerra in Ucraina, anche a considerare soluzioni e prospettive non dettate da spirito di parte, ma sostenute da riflessioni critiche e fondate, come è proprio del costume universitario e della sua lunga storia.

Sono pertanto pienamente condivisibili le parole del Rettore dell’Università di Bologna, da dove è partito l’appello alla mobilitazione contro Israele: « il nostro pensiero accorato va a tutte le vittime e che l’unanime auspicio della nostra comunità è la pace....ma ad un Ateneo come il nostro, orgoglioso del suo pluralismo, non compete adottare questa o quella visione ma alimentare il dibattito ».

Dopo l’inconcepibile e tremendo massacro di civili inermi - uomini, donne, giovani e bambini -, e il rapimento di ostaggi, tuttora tenuti prigionieri, compiuto da Hamas e dinanzi alla reazione di Israele, che per salvaguardare la sua sicurezza e i suoi abitanti non può distruggere il popolo palestinese, tutti sentiamo quanto la pace sia un bene fragile e in grave pericolo. Non solo nei territori ove è in corso il conflitto, ma a livello mondiale. Vi sono forze, da una parte e dall’altra, che sostengono la guerra allo scopo di eliminare completamente l’avversario: Hamas, Hezbollah e consistenti settori politici e militari di Israele. Occorre opporsi a questi tentativi, riprendendo uno dei fondamentali presupposti della pace: l’esistenza dell’altro, che non può mai essere eliminato, anche se “nemico”. Solo ammettendo il diritto dell’altro ad esistere, a vivere dignitosamente, a prosperare, il processo di pace può prendere avvio. La pace comincia prima della fine della guerra. E comincia quando uomini e donne, da una parte e dall’altra, scommettono sulle possibilità di dialogo, riconoscono che l’”altro” è, al fondo, un bene, scelgono la convivenza in forza della comune esperienza umana. Di queste possibilità chi vuole la pace deve farsi subito carico, nel suo ambiente e nella società. E’ un’urgenza che soprattutto l’Università deve sentire come sua: luogo del sapere, della sua elaborazione e trasmissione, della formazione della coscienza critica, essa può offrire un apporto costruttivo per l’intera società.

Di fronte ai drammatici fatti di questi giorni noi docenti universitari ci sentiamo in prima linea nell’opporci a ogni forma di odio, al perpetuarsi del conflitto e al suo allargamento su vasta scala. Chiediamo che le attività militari, su entrambi i fronti, cessino al più presto, che gli ostaggi israeliani siano immediatamente liberati, che si aprano corridoi umanitari per salvaguardare la vita dei palestinesi, che siano ripresi i negoziati degli “Accordi di Abramo” per il riconoscimento all’esistenza di due Stati e di due popoli.

E siamo aperti al confronto e al dialogo con chiunque lo desideri, nelle aule, nei corridoi, nei laboratori, nei nostri studi.

Milano, 17 novembre 2023